In onore della giornata contro il femminicidio, voglio fare un parallelo tra lo sport e la vita quotidiana.
Forse non tutti sanno che anche nello sport le donne non sono state trattate da subito come gli uomini. Anche lì hanno dovuto lottare per ottenere ciò che desideravano.
La maratona, per voler citare lo sport che a noi runner sta più a cuore, ha le sue origini in Grecia, nel 1896. Ma le donne ne erano escluse, alla stregua di tutte le discipline dei Giochi.
Furono Roberta Gibb nel 1966 e Kathrine Switzer l’anno successivo (vestendosi da uomo e dando al momento dell’iscrizione le sole iniziali del nome) che ottennero il pettorale per partecipare alla Maratona di Boston, calpestandone ogni chilometro sino al quarantaduesimo.
E proprio la stessa Switzer negli anni seguenti si impegnò attivamente per promuovere la partecipazione delle donne alle maratone organizzate in vari Paesi del mondo. Nel 1971 la maratona di New York fu aperta per la prima all’universo femminile. L’anno seguente fu la volta di Boston.
Nel 1984 la maratona femminile fu ufficialmente introdotta ai Giochi olimpici di Los Angeles. La nostra Alba Milana era là, pioniera e protagonista di un movimento in ascesa.
Alle donne era imputata l’inadeguatezza fisica per una prestazione sportiva così pesante. E invece, come la storia ci insegna, anche in una competizione di ben 42 km, le donne si sono dimostrate molto più resistenti degli uomini, data la loro maggiore resilienza, ossia la capacità di perseguire in modo paziente e costante il proprio obiettivo.
Ma questo perché la resilienza è nella donna sin dalla nascita. Perché la donna di maratone ne fa da quando è nata: da quando le è stato inferto il dolore del parto; da quando ha avuto parola in famiglia dopo essere stata solo la serva; da quando ha potuto mettere i pantaloni; da quando ha potuto votare il proprio pensiero politico; da quando ha potuto scegliere di non mettere al mondo il frutto di una violenza subita; da quando ha potuto separarsi da un uomo solo per il fatto che non lo amava più; da quando ha potuto scegliere la carriera giustapponendola alla famiglia senza sentirsi una fallita; da quando ha un’indipendenza economica che le restituisce la libertà; da quando può amare un’altra donna e con questa crescere dei figli; da quando può scegliere di non dover morire per mano di un pazzo che dice di volerla a tutti i costi.
Per arrivare a queste conquiste ne sono passati di giorni, mesi e chilometri. Tanti chilometri, che sommati avrebbero significato più di mille maratone.
E allora rinnovo i miei complimenti a chi corre per passione, a chi calpesta l’asfalto ingoiando vita. Ma oggi i complimenti vanno ancor di più alle donne, a quelle che corrono in gara e a quelle che corrono nella vita.
ONORE A VOI!
Alessia Pavoni
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