In questi giorni ho avuto la fortuna di incontrare due donne straordinarie, due atlete di livello, due vite che corrono al contrario. Per scelta non dirò i loro nomi. Le ho incontrate in momenti diversi e mi hanno raccontato due storie che, a loro modo, si intersecano, si allontanano, poi si ricongiungono e si proseguono.
La prima, poco più che cinquantenne, è moglie e madre di una famiglia numerosa e felice, di cui va fiera. Mentre mi racconta di quando, nel pieno dell’attività, decise di ritirarsi dal mondo dell’atletica, le leggo negli occhi un sentimento di forza misto a nostalgia.
La sua è stata una scelta ponderata, ma forse prematura. Mi confida, infatti, che, se qualcuno l’avesse aiutata a ragionare diversamente, probabilmente non avrebbe preso la stessa decisione. La frase che più mi ha colpito è stata: “Ho avuto tanti treni su cui salire, ma ho scelto di rimanere sulla banchina”.
Poi, invece, c’è chi sul treno ci sta per salire, ma la valigia che ha con sé è talmente pesante che l’ultimo gradino della carrozza sembra farsi sempre più alto.
E questa è l’altra. Vent’anni di pura vitalità, riccioli disordinati e un sorriso simpatico, avvolgente, pulito. Lei ha deciso di fare dell’atletica la sua vita. E ha fatto bene perché i risultati che sta ottenendo sono da campionessa.
Come tutti coloro che spostano l’asticella dei propri obiettivi sempre un po’ più in là, anche lei ha attraversato un periodo di impasse e di scoramento. Momenti in cui la paura di non farcela e di deludere chi la sostiene da sempre ha preso il sopravvento sulla consapevolezza delle proprie capacità.
Questo è un fenomeno tipico per chi vive di sfide, soprattutto in ambito sportivo, dove ci si affida al corpo, senza sapere che la vera forza nasce dalla testa che lo guida. È lì che dobbiamo andare a prendere la nostra energia e il nostro equilibrio per affrontare una qualsiasi gara: per gioire nella vittoria, ma soprattutto, imparare dalla sconfitta.
Alessia Pavoni
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