Insieme alla bulimia è uno dei disturbi del comportamento alimentare più diffusi, detti anche psicogeni. Si tratta dell’anoressia nervosa.
Nelle sue forme più gravi presenta emaciazione, inedia, amenorrea e malnutrizione e coinvolge funzioni psicologiche, neuroendocrine, ormonali e metaboliche.
Nel Medioevo la tecnica del digiuno si utilizzava per la mortificazione del corpo a favore del perseguimento di virtù spirituali.
Nell’era moderna il primo a parlare di anoressia fu un medico inglese, Richard Morton, che la definì emaciazione nervosa. Morton la catalogò come una malattia che ha le proprie radici nel corpo e la cui insorgenza è frutto di una perturbazione del suo sistema di nervi.
Nella seconda metà del XIX secolo William Gull la definì anoressia isterica e Charles Lasègue intuì la responsabilità della famiglia nel suo sviluppo.
Storicamente questa patologia ha coinvolto perlopiù le donne; oggi pare riguardare anche gli uomini, i quali sembrano soffrire maggiormente di un fenotipo: la dismorfia muscolare (o vigoressia).
Ad ogni modo per entrambi la diagnosi è la stessa:
- Magrezza estrema
- Paura di ingrassare
- Ansia o depressione
- Disturbi di personalità
- Disturbo ossessivo-compulsivo
Al contrario della bulimia, vi è assenza di rabbia e aggressività verso gli altri. Soltanto attraverso la somministrazione di alcuni test o questionari si può riscontrare la patologia in un individuo.
Pur chiamandola col suo nome esatto, esponendone il percorso storico, capendone cause e conseguenze, io voglio definirla: FAME D’AMORE. Così la definisce Fabiola Leclercq in uno dei suoi tanti libri dedicati alla malattia, e così piace definirla anche a me.
Il corpo emaciato e denutrito è quello di chi si vuole punire di qualcosa, per se stesso o per chi gli sta intorno.
È il corpo che grida aiuto, che chiede un mano a non farlo scomparire del tutto, che vuole dire: “ Io ci sono, amatemi.”
Dunque oltre all’ospedalizzazione, all’invio in comunità specializzate, alla dieta che può ristabilire valori standard per continuare a vivere, occorre donare a queste persone una scorpacciata d’amore. L’unico alimento che sapranno trattenere nel loro esile corpo, senza sentire la necessità di espellerlo procurandosi il vomito.
Alessia Pavoni
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